Pagine: 454
Prezzo: € 17
Uscita: 10/10/2019
Genere: Giallo, Thriller
Casa Editrice: Fazi
Kornelíus, un poliziotto islandese possente come un troll, che canta musica folkloristica in un coro di donne, trova un cadavere in una solfatara, spellato dal ventre in giù. Mentre cerca una spiegazione per quel delitto associato a uno strano rituale, è anche alle prese con la mafia lituana, a cui deve dei soldi; per estinguere il suo debito, s’impegna a ritrovare due chili di cocaina rubati da un mozzo durante una transazione in mare. Negli stessi giorni, giunge in Islanda il giornalista Jacques Soulniz: quarant’anni dopo aver visitato l’isola con un gruppo di amici, vi fa ritorno con la figlia Rebecca, la sua ribelle Beckie, con la quale cerca di riallacciare un rapporto compromesso. Sin dalle prime tappe, però, il loro soggiorno prende una piega inaspettata: l’uomo è inseguito dalle ombre del suo passato e sembra avere un conto in sospeso con quelle terre misteriose, che hanno in serbo per lui un’implacabile vendetta. Le strade di Kornelíus e Soulniz si incroceranno in un gioco crudele orchestrato dal destino.
Recensione: Senza troppi preamboli, dato che è un giorno di festa e quindi, avrete sicuramente voglia di far qualcosa di tranquillo e piacevole, vi dico che per me il libro è bocciato.
Da una scala da uno a dieci, si meriterebbe un tre e solo perchè alla fine, ci sono delle cose discretamente interessanti.
Andiamo però con calma.
Questa non è solo una storia, ma un contenitore che racchiude tante vite ed intrighi. Certo, tutti sono legati tra di loro, ma è come se prima di tutto, fosse una raccolta di racconti.
Gli scenari sono epici e desolanti, un mix tra l’Islanda che siamo abituati a vedere sulle cartoline e quella parte arida e affilata, fatta di scogliere secche e aria fredda. Tutto ruota intorno a questo paesaggio mistico, che farebbe sognare anche la persona più arida del mondo. I personaggi invece, sono pedine del fato ed ignare di esserlo.
Il dramma però, è che loro vivono i loro drammi e le loro perdite mentre io, tento di non addormentarmi. Non è affatto scritto male, non ci sono errori o ripetizioni, non ci sono scene incoerenti e il fine del libro non è sicuramente arrivare ad un “e vissero tutti felici e contenti” ma questo modo onirico e descrittivo, più che alimentare la mia fantasia, la uccide. Capisco che molti non hanno mai visto l’Islanda e mai lo faranno, capisco che lo smercio di droga in mare aperto non sia una cosa che tutti conosciamo a memoria però, sei righe di descrizione, non le concedo nemmeno a King. Anche perchè ho trovato spesso lunghe descrizioni, intervallate con delle discussioni spesso ermetiche che magari è un limite mio, però non mi ha permesso di capire cosa la gente volesse realmente dire.
Ho invece apprezzato le scene delle solfatare, che come dice Beckie in un passaggio del libro, lo spettacolo così profondamente selvaggio e rabbioso è una cosa che entra dentro nel cuore e scuote tutti gli animi.
Anche le Nábrók, ovvero le “necromutande” hanno riscosso un certo successo in me.
Creare un nábrók non era soltanto difficile, ma tecnicamente impossibile. La procedura poteva iniziare anche molti anni prima di procedere con l’effettiva realizzazione dell’oggetto magico: occorreva infatti stipulare un patto con un amico convincendolo a cedere il suo corpo al futuro utilizzatore dopo una morte per cause naturali.Alla morte dell’amico, l’indossatore delle necromutande doveva attendere la sepoltura del cadavere, riesumarlo senza farsi notare e, solo a quel punto, procedere con la preparazione vera e propria dell’oggetto magico.Il procedimento era il seguente: occorreva scorticare il corpo dai fianchi ai piedi prestando la massima attenzione a mantenere perfettamente intatta la pelle. Ogni taglio o buco sulla pelle estratta dal cadavere (pelle che comprendeva ovviamente anche quella dei genitali) avrebbe irrimediabilmente compromesso il rituale, vanificando ogni sforzo.Una volta ottenuti dei veri e propri pantaloni di pelle umana, era necessario indossarli a contatto diretto con la propria pelle, momento in cui avrebbero aderito con forza al corpo dell’indossatore.Lo scopo del nábrók era quello di ottenere una riserva illimitata di denaro; per innescare questa “generazione spontanea” di monete era necessario inserire nello scroto delle necromutande una moneta sottratta ad una vedova mendicante e il simbolo magico nábrókarstafurscritto su un pezzo di pergamena.A patto di non rimuovere la moneta, lo scroto del nábrók si sarebbe costantemente riempito di monete senza sosta. Ma liberarsi di questi necropantaloni ed evitare la dannazione eterna non era semplice: occorreva seguire un altro rituale.In caso di morte imminente, era fondamentale togliersi il nábrók per non incorrere in una sorte terribile nell’aldilà. Per separarsi dalle necromutande occorreva trovare un’altra persona disposta ad indossarle ed effettuare la transizione da un indossatore all’altro in modo tale da lasciare almeno una gamba all’interno dell’oggetto magico.
In pratica, le parti macabre le ho salvate più o meno tutte e anche la canzone del Krummavisur è stata parecchio interessante (potete trovarla qui).
Il resto però, è stato decisamente troppo per me. Troppe parole, troppi sottintesi, tutto troppo.
Però vi dico una cosa, questo è un problema mio e non dello scrittore/editore, perchè sono la prima a non apprezzare questo genere. Ho fatto un errore di valutazione, mi spiace per mille motivi ed il primo tra tutti è quello di aver perso tempo per arrivare comunque alla fine, perchè in altri casi avrei mollato il colpo e regalato il libro a qualcuno che l’avrebbe apprezzato più di me.